Individuata una base funzionale del pensiero creativo

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 13 maggio 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La ricerca sulle basi cerebrali della creatività, comunque la si intenda e la si voglia definire, è stata a lungo focalizzata sull’individuazione di specifiche regioni, aree e poi reti neuroniche, che si riteneva potessero costituire sedi specializzate del cervello definite nel corso dell’evoluzione da processi neurobiologici di adattamento attivo. La maggior parte dei risultati non ha supportato l’ipotesi di una sorta di “modulo dedicato” ai processi creativi, anche se la partecipazione di regioni ed aree tipicamente attive nei processi cognitivi di più alto livello è stata sempre indagata e spesso confermata dalla verifica sperimentale.

Alcuni studi recenti hanno messo in evidenza, in condizioni di saggio ritenute significative per il rilievo di processi creativi, la riconfigurazione flessibile di molte regioni cerebrali che interagiscono attraverso schemi di configurazione comunicativa complessi e temporanei. Prendendo le mosse da questi esiti sperimentali, un nutrito gruppo di ricercatori cinesi di Guangzhou ha indagato l’associazione tra la riconfigurazione di stati di connettività funzionale dinamica e l’abilità creativa. I risultati sono sicuramente significativi e degni di nota.

 (Li J., et al. High transition frequencies of dynamic functional connectivity states in the creative brain. Science Report – AOP doi: 10.1038/srep46072, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Center for the Study of Applied Psychology, Key Laboratory of Mental Health and Cognitive Science of Guangdong Province, School of Psychology, South China Normal University, Guangzhou (Cina); Guangdong Science Center, Guangzhou (Cina); College of Education, Guangdong Polytechnic Normal University, Guangzhou (Cina).

Il valore di questo studio, ed ovviamente degli altri che indagano questa base neurale del pensiero creativo, si può meglio comprendere se si ha presente l’approccio prevalente della ricerca in questo campo e, in particolare, i limiti nella definizione dell’oggetto di studio e nell’individuazione del tipo di base neurale da cercare. La lettura della maggior parte degli studi recenti di psicologia sperimentale sui processi creativi lascia in molti l’impressione di una banalizzazione del concetto di creatività, nel lodevole intento di estrarne la struttura essenziale per poterla analizzare. Il concetto di una creatività umana distinta dalla dote generale dell’intelligenza, storicamente si è andato sviluppando dal concetto di genio. In proposito tre anni or sono osservavo:

“In epoca rinascimentale, nel tentativo di darsi una spiegazione delle straordinarie capacità di alcuni artefici e del valore unanimemente riconosciuto alle loro opere, si introdusse il termine genio che, nella lingua italiana del XVI secolo, voleva dire “ispirazione”. Il vocabolo, in qualità di nome comune di persona, non corrispondeva semplicemente al concetto greco di areté, usato per indicare qualcuno che fosse estremamente abile in un’attività o in un’arte, ma includeva un’interpretazione che rinviava al possesso di una qualità mentale particolare, uno speciale talento, consistente in risorse di energia, ingegno, anticipazione, innovazione e determinazione per metterle a frutto, secondo idee che sembrava fossero “ispirate dall’alto”. Il genio, più di ogni altro artefice, possedeva la dote della creatività, considerata come produttività contraddistinta da originalità, in un ambito definito da valori universalmente riconosciuti in termini materiali, morali od estetici[1].

Si può condividere o meno questo modo di intendere, ma non gli si può negare una chiarezza e una coerenza difficile da riconoscere nell’impiego attuale dei concetti di creatività e genialità che, ai due estremi dello spettro semantico, possono essere attribuiti ad operazioni induttive e deduttive, da un canto, e all’effetto di novità prodotto da una trovata, dall’altro”[2].

Nell’operatività sperimentale degli ultimi decenni, per creatività si è intesa l’abilità costituita dal processo di elaborazione di nuove idee. Ecco quanto ho scritto in precedenza al riguardo:

“Molti ricercatori concordano nel ritenere che il primo stadio del processo creativo consista nella genesi di nuove idee, pertanto si è cercato di comprendere come avvenga questa produzione originale. Non esistendo, allo stato attuale delle nostre conoscenze ed ancor più nei decenni scorsi, alcun modo che ci consenta di visualizzare nel cervello le idee, magari marcandole in modo differenziale per distinguere le nuove dalle vecchie, ci dobbiamo accontentare di cercare dei correlati neurali o psicologici che si accompagnano alla produzione di espressioni definite dal nostro giudizio cognitivo sul prodotto finito, ossia sul contenuto ideativo. Ma come si fa a definire nuova un’idea?

Giuseppe Perrella ha osservato che la novità di un’idea, come altre qualità e valori astratti, non emerge come evidenza assoluta, ma risulta sempre da una relazione con un contesto psichico, culturale o tecnico[3]. Questo modo di intendere pone non pochi problemi alla ricerca, rendendo impossibile l’applicazione dei tradizionali paradigmi di scomposizione analitica che si applicano ai comportamenti semplici, talora riflessi o automatici, strettamente connessi con percezione e movimento.

Lo studio delle abilità creative, come di altre facoltà psichiche, richiederebbe una definizione dell’oggetto, sia pure ipotetica, imperfetta e provvisoria, che sia non ambigua e circoscritta, in modo tale da consentire di non confondere - se possibile - il processo creativo con altri tipi di processo e separarlo dalle altre attività con le quali è in continuità. In tal modo, oltre a stabilire dei correlati certi, si renderebbe più facile il convenire sull’identità del processo indagato da parte di tutti i ricercatori, degli altri studiosi e di tutti coloro che sono interessati a questo genere di conoscenze. È evidente che una tale necessità non sussiste per processi cerebrali di più basso livello, come la percezione e il movimento: in questi casi è evidente che basta semplicemente seguire le immediate conseguenze dell’input che deriva dalla recezione di stimoli luminosi, acustici, meccanici o chimici, oppure indagare l’attività dei neuroni di moto che immediatamente precede e consente lo spostamento di segmenti corporei o del corpo intero.

Di fatto, la ricerca sviluppata dagli anni Novanta ad oggi, ha adoperato e creato alcuni paradigmi ampiamente accettati, ma la cui realtà deve essere conosciuta perché si possa sapere realmente a quale standard sono rapportati i risultati, e dunque, implicitamente, a quale concezione della creatività o della novità si è fatto riferimento. Ad esempio, se in uno studio si valuta creativa la persona che tende ad adoperare degli oggetti non secondo l’uso convenzionale ma in modo tale da risolvere un piccolo problema pratico posto dai ricercatori, si sta assimilando alla creatività questa particolare abilità, secondo le tesi dello psicologo di Malta Edward De Bono, che aveva definito “pensiero laterale” un complesso di atteggiamenti mentali e processi cognitivi che non seguono le abitudini culturali prevalenti. […]

Negli studi di impostazione neurologica, in cui si cercano dei correlati neurofunzionali, si adoperano test cognitivi sul tipo di quelli adoperati in neuropsicologia clinica. In questi casi la nuova idea è assimilata ad una scelta non convenzionale, ma razionalmente “giusta” secondo criteri di comune buon senso o logica aristotelica elementare.

Il primo tentativo di registrare correlati neurofunzionali di nuove idee si può far risalire a circa venti anni fa, quando, grazie ai progressi dell’elettroencefalografia, si era giunti a mettere in relazione l’attività elettrica corticale con particolari processi cognitivi. […]

Durante l’emergere di nuove idee, ossia nell’intervallo temporale attribuito alla loro genesi, i volontari sottoposti a registrazione elettroencefalografica hanno fatto registrare onde della frequenza α in corrispondenza delle aree frontali. Questo reperto è stato interpretato come correlato della nascita di nuove idee e, in quanto la frequenza alfa è presente su tutto l’encefalo in condizioni di attenuazione del controllo cognitivo attribuito prevalentemente ai lobi frontali, si è desunto che la genesi di nuove idee richieda una riduzione di attività dei lobi frontali. Tale deduzione, nota come ipotesi dell’ipofrontalità, ha trovato conferma in numerose osservazioni e verifiche sperimentali condotte con metodiche diverse; tuttavia la sua concezione non è esente da dubbi e critiche e, come vedremo in seguito, potrebbe essere stata influenzata da una bias culturale tanto diffusa da risultare inapparente”[4].

Li, Liu ed altri dieci colleghi hanno ipotizzato che un’alta frequenza di stati di transizione di connettività funzionale dinamica sia associata ad abilità convenzionalmente considerate creative dai ricercatori di questo campo. Per sottoporre a vaglio sperimentale tale ipotesi, sono state reclutate sia persone provviste di grandi capacità creative sia persone scarsamente dotate in questo senso, in maniera tale da costituire due gruppi distinti da porre a confronto: 1) HCG (da high-creative group); 2) LCG (da low-creative group).

Il cervello di tutti i partecipanti è stato studiato mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI), rilevando, in particolare per la sua significatività in queste osservazioni, il resting-state (R-fMRI). A tutti volontari sottoposti all’osservazione sperimentale è stato somministrato il Torrance Test of Creative Thinking (TTCT) - considerato da molti il principale standard di misura per queste abilità cognitive - e sono stati accuratamente riportati i punteggi.

Lo studio è stato sviluppato da Li e colleghi mediante un approccio che ha combinato un’analisi componente indipendente con un’analisi della dinamica delle reti.

In tal modo, i ricercatori hanno scoperto che gli appartenenti al gruppo HCG presentavano transizioni più frequenti fra stati di connettività funzionale dinamica (dFC, da dynamic functional connectivity) dei componenti del gruppo LCG. Inoltre, un’analisi di conferma, usando moltiplicazioni di derivate temporali, ugualmente indicava che le transizioni di stato dFC erano molto più frequenti nelle persone appartenenti al gruppo HCG.

L’insieme dei dati emersi dalle osservazioni di Li e colleghi costituisce un’evidenza empirica della stretta associazione tra la riconfigurazione flessibile di stati di connettività funzionale dinamica e l’abilità creativa dei volontari; fornendo, in tal modo, una prova significativa per questa base neurofunzionale del processo creativo.

In attesa di ulteriori verifiche sperimentali, è difficile contraddire gli autori dello studio che considerano, senza mezzi termini, la loro acquisizione una scoperta.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

Lorenzo L. Borgia

BM&L-13 maggio 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Cfr. Giuseppe Perrella, Riflessioni sul pensiero che ha creato il “genio” e sui tentativi di dare sostanza oggettiva e neurobiologica a questo concetto, in “Seminario sull’Arte del Vivere”, BM&L-Italia, Firenze 2007/2008.

[2] Nella prima parte di “Creatività geniale o abilità esercitata” in NOTE E NOTIZIE (08-03-14, prima parte; 15-03-14, seconda parte; 22-03-14, terza parte ed ultima parte).

[3] Cfr. Giuseppe Perrella, Riflessioni sul pensiero che ha creato il “genio” e sui tentativi di dare sostanza oggettiva e neurobiologica a questo concetto, in “Seminario sull’Arte del Vivere”, BM&L-Italia, Firenze 2007/2008. A questo scritto è da riportare anche il fondamento concettuale e culturale di tutta la mia discussione.

[4] Note e Notizie 05-04-14 Le basi della creatività: nuovi esiti e riflessioni critiche – prima parte. Per il prosieguo della discussione si rimanda alla lettura delle parti successive in cui è ripartito l’articolo in NOTE E NOTIZIE (12-04-14, seconda parte; 26-04-14, terza parte; 03-05-14, quarta parte; 10-05-14, quinta parte; 17-05-14, sesta ed ultima parte).